Untitled PR57 2023 acrilico su lino 150x100x4cm
Gianluca Capozzi vive e lavora ad Avellino, città dove è nato nel 1973. I suoi studi artistici l’hanno portato a frequentare l’Accademia di Firenze e di Granada, mentre sue opere sono state esposte in tutto il mondo, dalla Polonia a Cuba, dalle Filippine all’Austria, da New York al Nepal, dall’Etiopia alla Cina, dalla Francia all’Inghilterra, dalla Spagna all’Iran e non proseguo oltre.
Nella mia Torino Gianluca Capozzi è di casa, essendo stato ospitato alla Fondazione Sandretto, alla Galleria Allegretti, al Velan Center, ad Artissima, alla Galleria metroquadro ecc.
In un’intervista rilasciata ad Artribuine nel 2019, l’artista ha dichiarato: “Mi piacciono le cose sospese oltre tempo e spazio”, e in questo senso di sospensione, di indefinito, di ricordo perso nel passato eppure ricreato nel presente, è l’essenza profonda delle sue opere.
Qualcosa di sfuggente è anche nei (non) titoli dei quadri, catalogati come untitled e un numero progressivo, perché non è un’etichetta che deve guidare lo spettatore nel suo percorso interpretativo; deve essere l’opera stessa a comunicare. Ovviamente non intendo dire con questo, e scusate se mi riallaccio a una polemica di forse tre anni fa, che a un artista debba essere vietato di esprimersi, di difendere le proprie idee, di chiarire i propri messaggi usando altri mezzi oltre a tela e pennello; l’artista, però, deve accettare che i critici e il pubblico possano interpretare una sua creazione in modi divergenti da quelli che lui intendeva proporre. Se Leonardo ci avesse spiegato il sorriso accennato della Monna Lisa, adesso non potremmo ammirarla e studiarla con la stessa affascinata passione.
Poco successo ha un lavoro che ripete sempre e a tutti un messaggio monocorde. I quadri che sono nel mio studio, li ho scelti perché, ogni volta che mi fermo ad osservarli, mi parlano con voci cangianti a seconda della luce, del mio umore e di chissà quale altro mutevole elemento.
Tornando a Capozzi, le sue sono certamente opere che inviano messaggi diversi e originali, con le quali un dialogo è necessario e sempre appagante.
Questo anche quando siano opere dove il soggetto sembri ripetitivo. Facendo riferimento alla mostra Sequences of a panorama, almeno in quattro tele ci viene mostrata la stessa stanza, arredata in modo decisamente fuori moda, stile anni ’70; un salottino come si vedeva nelle pubblicità dei giornali che celebravano i nuovi elettrodomestici ‒ lavatrici, aspirapolvere, fornelli, radio e televisori ‒ destinati a semplificare e divertire la vita domestica delle belle casalinghe e giovani impiegate con i loro mariti.
Adesso tutto ci sembra kitsch, come il pavimento a quadrati rossi e bianchi, la parete giallastra o i cuscini a motivi ocra e marroni sul divano color caffè; i miei nonni materni ne avevano uno quasi uguale. E come non notare il lampadario dalle tante lampade che si aprono a raggiera? Allora erano di moda così e avevano la caratteristica di fare sempre poca luce.
Questa stanza dipinta da Gianluca Capozzi più volte, esaminata cambiando i punti di vista, è popolata da presenze appena accennate, evanescenti contorni di figure femminili, con le pettinature che ci riportano alle modelle di quegli anni perduti, successivi al miracolo economico italiano.
Un contesto benpensante, di una nuova borghesia piccola piccola, maschilista se vogliamo sottolinearlo, soddisfatta e sognante nel modesto lusso che si è conquistata dopo le sofferenze degli anni della guerra e del primo dopo guerra.
Le giovani donne che ammiriamo in altri quadri, si godono il piacere semplice di distendersi al sole, di lavarsi in una vasca da bagno, di sgambettare in aria con nei piedi inadatte scarpette rosse, o di telefonare nude, rannicchiate in una poltroncina, abbracciate a un cuscino.
Immagini che portano la serenità di una vita in cui ci si accontentava e si gioiva di quello che si aveva, persa per avventarsi voracemente in un mondo egoista e tecnologico, in cui troppo si possiede e di nulla si prova piacere.
Eppure il sentimento di rimpianto che a me è venuto istintivo, proprio per i messaggi e le aggiunte che l’artista sa inserire, ha come contraltare note che avvertono che questo mondo perduto è un mondo idealizzato, che non è stato come crediamo di ricordarlo e riviverlo. E dal passato, con un brivido, torniamo al presente, al bisogno di recuperare non quei momenti, quanto i valori perduti.
Alla fine, per l’uomo moderno sempre di fretta, ripiegato sul proprio cellulare, in lotta con tutti e con tutto, avido ed eternamente insoddisfatto, arriva l’esortazione a vivere un’esistenza meno logorante, con le sue pause, lasciando che lo sguardo scivoli lento e sappia soprattutto cogliere i fantasmi di quanto è accennato, trasparente, nascosto, tuttavia più reale e importante di quanto percepiamo al primo affrettato sguardo, che riusciamo a posare sui panorami che ci circondano.
Quanto inizialmente si presentava come un ripiegarsi sul passato, diventa così l’utopia di un nuovo mondo, dove si possa essere attivi e dialoganti con l’anima nascosta degli 
Marco Salvario
.
“I confini della nostra mente si spostano di continuo e molte menti possono confluire l’una nell’altra, per così dire, e creare o rivelare un’unica mente, un’unica energia.” 

W. B. Yeats, Magia, Adelphi, Milano, 2019, p. 17. 

Sogno lucido è l’ossimoro che meglio descrive la dimensione che la pittura di Gianluca Capozzi dischiude. Le situazioni, gli ambienti e i personaggi ritratti nelle sue opere eludono il mondo fenomenico e raccontano la non linearità di tempi e spazi. 
Le opere che la mostra Sequences of a panorama presenta, sono delle sequenze che scandagliano lo sguardo mentre coglie frammenti di panorami che per analogia divengono paesaggi interiori. 
I nuovi dipinti della serie Stanze, interni, realizzati per la mostra, presentano dei soggiorni di case borghesi dall’atmosfera vintage, che diventano per Capozzi metafore di uno stare dentro per guardarsi all’interno. Qui, cumuli di forme astratte, nebulizzate e sovrapposte a elementi figurativi, delineano scenari domestici che tuttavia non danno luogo a scene intime e accoglienti, al contrario, si declinano in contesti fantasmagorici, come le illusioni ottiche che si verificano durante uno stato alterato di coscienza. 
Tutto è interconnesso, e tutto è animato da energie dalle diverse tonalità e vibrazioni che confluiscono tra loro. L’opera d’arte è dunque, come ebbe a dire Aby Warburg, un dinamogramma, ovvero uno strumento che registra il passaggio di una forza. 
Per questo motivo, la pittura di Capozzi trascende la pura rappresentazione e la trasfigura stratificando l’immagine e sviandone il senso apparente. Nella sua operazione di congiunzione tra figura e astrazione, tra gestualità e minimalismo, tra disegno fatto di linee e disegno colorista, i quadri di Capozzi aprono a una dimensione alterata e psichedelica, dove i piani temporali si confondono, e gli interni, fatti di mobili modernisti di metallo, fòrmica e vetro, sofà in pelle, colori acidi alle pareti e, come in una mise-en-abyme, quadri appesi, costruiscono un setting, disertato e silenzioso, dove non compaiono figure umane, perché sono questi stessi interni a osservare la figura umana che siamo noi spettatori. 
Capozzi ricrea luoghi di un altrove alterato, una dimensione parallela e onirica, che ritorna anche nella seconda serie in mostra, Senza titolo, che attinge invece a foto vintage di figure femminili. Pose inusuali e figure evanescenti, sono i fantasmi che hanno forse abitato quegli stessi salotti, e che rompono la linearità irrevocabile dello scorrere del tempo per un eterno presente impermanente, in un provvisorio equilibrio che travalica i confini delle menti. ​​​​​​​
Mattia Solari ​​​​​​​
Una citazione dal grande poeta e scrittore irlandese W. B. Yeats. 
Citazione perfetta a introdurre l’esoterico “immaginario naturalista” di Gianluca Capozzi, avellinese, residente ad Aiello Del Sabato. “I confini della nostra mente – scriveva nella sua raccolta di saggi e altro, “Magia”, il grande poeta irlandese, cui ‘nulla di arcano fu estraneo’ – si spostano di continuo e molte menti possono confluire l’una nell’altra, per così dire, e creare o rivelare un’unica mente, un’unica energia”. Ecco allora, in parete, alla Galleria “metroquadro” di Torino, fino a giovedì 28 marzo, labirinti fantasiosi di segni e colore, giocati quasi l’artista fosse sotto effetti ipnotici per raccontare ciò che l’arte deve raccontare. Ciò che l’arte ha il compito di fare: “rendere visibile agli occhi tutto quello che non è visibile”. Parola di Capozzi. Cui il gioco riesce alla perfezione.

In una precedente personale, tenuta due anni fa, sempre alla “metroquadro” di Marco Sassone, l’artista si era avvalso di un titolo letteralmente “rubato” a quello di una tarda poesia del cantautore “poeta maledetto” di Melbourne, Jim Morrison: “Il giardino reciso / The severed garden”. Yeats e Morrison. Frequentazioni mica da ridere. Che la dicono lunga sul personalissimo approccio alla pittura di Gianluca Capozzi. Pittura che, per questa personale, il curatore Mattia Solaridefinisce acutamente “sogno lucido”.Grammaticalmente, un “ossimoro” che calza a pennello però sui quadri di Capozzi. Dove, in un incidere figurativo di buona scuola,  mai abbandonato pur se raccontato nell’esasperazione di gesti vigorosi e carichi di strabordante e frenetica matericità, puoi trovarci di tutto. Puoi leggerci di tutto. E trovarti confusamente imbrigliato in piccoli universi dai molti misteri. Scrive Mattia Solari: “Le opere che la mostra presenta, sono delle sequenze che scandagliano lo sguardo mentre coglie frammenti di panorami che per analogia divengono paesaggi interiori”. Dove l’entrata non è mai fra le cose più semplici, di fronte ad un’onirica decomposizione del reale, avvolta in miriadi di “coriandoli” o informi “evasioni” di colore, in gialle spiagge (ma saranno poi spiagge?) con figure sdraiate di giovani fanciulle tormentate da irregolari svolazzi segnici che solo la fantasia più accesa può cimentarsi a decifrare o in stanze (pare sempre la stessa nell’arredo sobrio e scomposto di grandi quadri, libri che sono lì a caso, divani acchiappa tutto, cuscini, vasi di fiori e lampade), dove al soffitto (anche!) o a testa in giù e gambe in alto fra divano e parete, Capozzi colloca in un secondo momento curiose sagome figurali per nulla inquietate da vere e proprie tempeste di girandole di colore – gialli, bianchi, verdi o turchesi o grigi – simili a frammenti meteoritici inarrestabili nel loro confuso orbitare. “Stanze, interni”, è la prima serie di dipinti presentati. Stanze come “metafore – ancora Solari – di uno stare dentro per guardarsi all’interno, contesti fantasmagorici come le illusioni ottiche che si verificano durante uno stato alterato, psichedelico, di coscienza”.

Quello stato di anima, corpo e mente che ti spinge in luoghi “altri”, in una sorta di dimensione “parallela e onirica”, che troviamo anche nella seconda serie in mostra, “Senza titolo”, che attinge a foto “vintage” di figure femminili. “Pose inusuali – conclude Mattia Solari – e figure evanescenti, sono i fantasmi che hanno forse abitato quegli stessi salotti, e che rompono la linearità irrevocabile dello scorrere del tempo per un eterno presente impermanente, in un provvisorio equilibrio che travalica i confini delle menti”. Quante domande, quanti punti interrogativi! Di fronte alle opere di Capozzi, non pensate di cavarvela alla leggera, plaudendo l’indubbio mestiere di chi, come lui, “sa” fare arte. Difficile resistere, di fronte alle sue “provocazioni” pittoriche. E ad uscirne appagati sono tutti fatti (non diciamo altro!) vostri. Ma, in fondo, il bello sta proprio qui. Ed è questo che Capozzi vuole.
Gianni Milani
M.S.: L’ultima serie di dipinti che hai presentato, Panic Rooms, 2023, presenta una serie di vedute di interni di case borghesi dall’atmosfera vintage e senza figure umane in vista. Cosa ti interessava o colpiva di queste immagini? Cosa volevi raccontare con questi interni solitari?
G.C.: Nel mio lavoro recente, mi sono concentrato su forme astratte, nebulizzate e sovrapposte in cui è possibile scorgere elementi figurativi. Questi abitano un luogo, una sala, una stanza; contesti sempre simili. In queste immagini vedo uno spazio temporale pieno di energie che si muovono, secondo una scansione percettiva che allude ad una realtà ampliata.
Un teatro prospettico che posso riempire di uno scenario fantasmagorico.
Un elogio al tempo come unico istante dilatato, dove le figure che hanno abitato queste stanze lasciano una loro traccia cosmica.
Nello stesso momento, queste stanze psichedeliche fanno riferimento ad uno stato di coscienza ampliato. La serie Panic Rooms nasce nel periodo della pandemia quando molte persone, chiuse in una situazione paradossale, hanno avuto modo di guardarsi dentro e portare il loro inconscio fuori da loro stessi.
Traspare il concetto di impermanenza e interdipendenza, tutto è collegato e in qualche modo dipendente dal tutto, in riferimento alle teorie della fisica quantistica e alla “cosmovision” andina, una visione del mondo che implica una relazione sacra tra l'essere umano e la Madre Terra, basata sulla reciprocità, l’amore e il rispetto per gli esseri viventi, gli alberi, le montagne, i fiumi, l'intero universo. Risalente a 5000 anni fa, parte della cultura Incas e sopravvissuta fino ad oggi nelle comunità originarie quechua, nella cosmovisione andina tutto è impregnato di energia che dà "anima", "forma" e "movimento" all’universo, dove tutto è espressione visibile di una energia non visibile. Gli alberi, i fiumi, le montagne, la terra e gli uomini esprimono la stessa energia ma con vibrazioni e tonalità diverse, ma che sono parte di un’identità unica.

M.S.: Affermi che dipingere significa essere in contatto con la materia e al tempo stesso accarezzare il divino. Dipingere è un modo per tradurre la realtà come forma d’energia in una immagine. Questa tua definizione si avvicina a come Aby Warburg definiva l’opera d’arte: un dinamogramma, ovvero uno strumento che registra il passaggio di una forza. La superficie dell’opera diviene una membrana che registra questo flusso. Come agiscono queste forze sul campo della tua pittura, come si amalgamano l’immateriale il materiale nella tua pittura?
G.C.: Oltre a quello che possiamo sperimentare con i nostri sensi, c’è qualcosa di più alto che ci rende parte del divino: interagire con l’universo e creare mondi, la realtà. Questa è la grandezza del gesto artistico per me.
Mi ritrovo molto nelle parole di Warburg; credo anch’io che sia un’energia che trascende il suo stato naturale per fissarsi all’infinito in una porzione che ne racchiude la intensità, come un filtro amplificante, una traduzione della magia nella realtà.
Per questo la mia pittura trascende la rappresentazione, ma usa tutti gli elementi a sua disposizione per alludere ad una realtà ampliata e ai suoi legami con la nostra parte più profonda, la consapevolezza che ne abbiamo e la sua evoluzione nel tempo, in una messa in scena percettiva quasi teatrale, che vuole avvicinarsi il più possibile e rendere visibile nel qui ed ora, ciò che non lo è.

M.S: Quali sono le fonti di ispirazione che usi? Che cosa stimola il tuo desiderio di tradurre in immagine una visione?
G.C.: L’esperienza del quotidiano, la spinta evoluzionistica verso ciò che proviamo nella parte più profonda di noi stessi. Credo che l’ispirazione sia una sorgente naturale, a volte è più forte ma sempre presente e parte di noi.
Il desiderio nasce dal voler fermare un flusso, renderlo separato e parte di un tutto, cambiandone le forme e la posizione e restituirlo al presente. Una spinta interiore, un’esigenza di trasformare, condividere e palesare una specifica parte del creato.
Alcuni film con personaggi e un’ambientazione interessante, come le foto del passato.
Ricordo Jean-Luc Godard, i film di Werner Herzog, come Fitzcarraldo, Wim Wenders, Tarantino, Almodóvar, Takeshi Kitano. La musica, inoltre, è senza dubbio una fonte speciale.

M.S. Nei lavori precedenti si assiste alla compresenza di figure cartoonesche e di scarabocchi astratti; una s-figurazione che oscilla tra l’Informe e il Pop, dove stratifichi e svii dall’immagine originaria. Cosa volevi ottenere?
G.C.: Il mio interesse è quello di combinare rappresentazione e astrazione, disegno lineare e colorazione, minimalismo e gestualità. La gestualità riguarda la materialità e contrasta con l'estetica stenografica della mia figurazione che va dal disegno al fumetto.
I fumetti, perdendo il loro significato iniziale, diventano delle forme.
Mi sono poi concentrato sulle maschere, anch’esse legate all’universo magico e psichedelico. Uno studio sulla percezione e nello stesso tempo sul carattere della persona, oltre gli stereotipi.

M.S.: Anche la magia riveste un ruolo importante nel tuo lavoro.
G.C.: Si, la terra dove vivo l’Irpinia è la terra delle “Janare”, donne dai poteri magici, ancora vive nella memoria collettiva di storie, leggende e fatti. “Janua” deriva dal nome Giano, divinità latina raffigurata con due volti in direzioni opposte, poiché può guardare il passato e il futuro e, essendo il dio della porta, può guardare sia all’interno e sia all’esterno, rappresenta il Signore del Triplice Tempo e dell’eternità.
La storia delle Janare, da Dianare ovvero le seguaci di Diana, ha origine anche con il culto Iside e successivamente con i Longobardi e le loro usanze pagane. Alla base vi è la venerazione per il principio femminile e ogni aspetto della sua espansione. Queste donne, di antica sapienza attraverso preghiere particolari e l’utilizzo di erbe donavano un miglioramento alla salute fisica e psicologica attraverso stati alterati di coscienza che le permettevano di intuire dove agire.
Nella cultura popolare l’albero di noce, il legame tra la magia e il mondo antico, sulle rive del fiume Sabato, nello “stretto delle barbe” veniva rappresentato come un luogo di incontro tra streghe e demoni in cui veniva svolto il banchetto accompagnato da riti orgiastici.
Le rive del fiume Sabato erano ricche di erbe medicamentose che provocavano stati di trance e allucinazioni. La sua adorazione risale alla cultura druidica e celtica, era la casa delle fate e delle streghe in cui si rifugiavano in situazioni di pericolo.
L’arte è un momento magico, dove l’uomo interagisce con l’universo e crea parte della realtà.

M.S.: Su cosa stai lavorando attualmente?
G.C.: Sto lavorando sulle nuove stanze, dove la figurazione fa sempre più spazio all’astrazione, dissociando sia l’ordine del discorso che le aspettative di significato.
Percepisco i nuovi dipinti come un percorso, che il fruitore completa con la propria esperienza, con un processo alle volte riduttivo e altre volte di amplificazione dell’immagine.
Intercetto frammenti di storie e le dipingo come per fermare l’attimo e convertirlo in un’immagine che esplode e prolifera al suo interno come parte e non rappresentazione della realtà.
La psichedelia, indagando altre dimensioni a cui la mia pittura tende, evoca idealmente un mondo nuovo con tracce del tempo dove presente e passato si fondono. Persone, cose ed eventi conservano un non-senso pervaso di significato, una visione lenta ma precoce di ciò che potrebbe essere successivamente presente.
Mattia Solari ​​​​​​​
​​​​​​​In Panic Rooms, corpi umani e mobilio si intrecciano in ambienti claustrofobici, capovolgendosi in un’orgia di rumorosa confusione.
Senza inizio e senza fine, il motore del subbuglio confonde gli occhi e scompiglia il pensiero. Nel fracasso irreale delle pennellate, planano solitudine, tenerezza e necessità di fuga da labirintiche frustrazioni e asfissianti prigioni sociali.
Nel sobbalzo di poltrone e quadri, ruotano corpi e colori, foglie e piante in equilibrio con le loro dipendenze relazionali, muovendo la psiche a trovare finalmente un motivo per procedere.
Le stanze, luoghi di ricovero e verifica, diventano silenzioso regno per riflettere una dimensione introspettiva a stabilire coscienza e possibilità di esistere veramente.
Enza Monetti

 Untitled PR12 2020 acrylic on linen 100x150x4cm   
Fragile impasto di sordidi vizi, colpevoli debolezze, splendide virtù, l’uomo reca in sè la propria condanna e la propria salvezza.
L.Bunuel

La pittura di Gianluca Capozzi, medium vitale di introspezione dell’animo, veloce, tagliente e sempre rasente al non finito, è un dispositivo di ricerca che cela
un’intrinseca dimensione esistenziale.

Nella recente serie Panic Room, insieme realistica e onirica, attrattiva e conturbante, trasporta l’osservatore in un contesto apparentemente rassicurante di interni borghesi anni ‘70 per poi abbandonarlo ad un senso di voyerismo verso un flusso paranoico di flash e di figure fantasmatiche che aleggiano indistintamente sui piani della rappresentazione.
Pur ammiccando alla lezione coloristica dell’impressionismo, le cui vibrazioni di luce contribuiscono a creare il dinamismo della rappresentazione e a produrre un certo rumore di fondo, l’artista ribalta l’assioma della pittura en plein air attraverso il morboso ripetersi di interni le cui soglie - porte, vetrate, finestre – volutamente
eludono qualsiasi riferimento al paesaggio esterno.
Per definizione stanza di sicurezza, ambiente “teoricamente” protetto, la Panic Room di Capozzi è all’opposto un luogo di allucinazione: dapprima deserta, in cui l’assenza umana è soppiantata da una sovrabbondanza di dettagli decorativi che esplodono in un caleidoscopio di colori, per poi affollarsi di personaggi inafferrabili, sagome di donne, uomini o bambini che, relegati in quattro mura, volteggiano in un’atmosfera psichedelica e in assenza di gravità. In questa dimensione ultraterrena e claustrofobica, il chiuso di un appartamento diventa la scenografia per rappresentare l’invisibile, ma anche per denunciare l’indicibile.
Tuttavia la frenesia della città e l’armonia della natura sfondano nell’immaginario di Capozzi nei due video, offrendo una via di fuga. Inarrestabile flusso onirico composto da migliaia di fotografie e condito da improvvisi segni pittorici, il video fa da contraltare alla nevrotica serialità delle tele.

La lezione di Bunuel - Il fascino discreto della borghesia e ancor di più L’Angelo sterminatore - si legge nella trama della sequenza di dipinti in mostra assimilabili a frame cinematografici le cui piccole varianti trasportano lo spettatore in un loop visivo e, come i video, in una dilatazione di uno stato aumentato di coscienza.
Proprio in questa serialità troviamo la chiave di lettura, il sottotesto di una pittura/
partitura che si muove sulla polarità del binomio di un’estetica accattivante e un contenuto angosciante: la necessità di una fuga fisica o psicologica, sia essa scaturita nei drammatici mesi di lockdown che hanno visto l’esponenziale aumento di violenza domestica, o dalle prigionie mentali e sociali dovute all’ipocrisia di contesti borghesi in cui lo scintillio di un arredamento à la page tenta di coprire le frustrazioni più intime ed inconfessabili.

Ad ognuno la propria visione...​​​​​​​
Adriana Rispoli


 “Untitled PR15” 2020, acrylic on linen, 61x106x4cm
La piazza che dava sul porto – questo è forse il modo migliore di esprimere la cosa – era come una tavolozza sulla quale la mia fantasia mescolava le cose in via sperimentale; irresponsabilmente, se si vuole, eppure proprio nel modo in cui un grande pittore guarda alla sua tavolozza come a uno strumento. 
/W. Benjamin, 
Verbale di esperimento con l’hashish, 
«29 settembre 1928. Sabato, Marsiglia»/

Il titolo, liberamente ispirato da una poesia tarda di Jim Morrison, incisa anche in un disco postumo, con l’accompagnamento strumentale della sua band, qui assume un significato più connotato.
Capozzi, partendo dalla sua ricerca sulla psichedelia, tema che lo interessa da anni, e ispirandosi al pensiero magico sudamericano, quello orientale e alle nuove scoperte della fisica quantistica, costruisce degli universi pittorici complessi e ben articolati, anche se non immediatamente decifrabili.
Partendo dall’osservazione e dalla decostruzione, della presunta oggettività del pensiero logico razionale, Gianluca Capozzi, attraverso il suo intervento artistico, mette in atto una sorta di decomposizione del reale e del visibile. Sovrapponendo più registri visuali e temporali, l’artista, ci proietta verso la parte più profonda della realtà, per la conoscenza della quale, seguendo la logica del buddhismo e di altre culture esoteriche di suo interesse, abbiamo già tutti gli strumenti innati, ma ai quali non sappiamo più accedere, che non sappiamo più usare. Non percepiamo altro che un’opacità costitutiva insuperabile. Restiamo rinchiusi in un autistico dominio del nostro Ego, dell’individualismo sproporzionato, della neotenia cronica, delle politiche identitarie, delle ideologie del piacere, della memoria e del pensiero – e tutto ciò ci porta allo sviluppo di una serie di atteggiamenti distruttivi nei confronti di noi stessi, delle altre forme di vita e dell’ambiente in generale.
Lo sgretolarsi della percezione del reale, che vediamo in alcune opere esposte, appunto, deriva non soltanto dalle sue riflessioni teoriche, ma anche da esperienze con dei stati di coscienza espansa attraverso profonda meditazione e altre pratiche, seguendo quali è possibile accedere a più sottili piani della realtà, per vedere come la nostra vita quotidiana in fondo non è altro che una sorta di teatro d’ombre cinesi. Una proiezione, come nella caverna descritta dallo stesso Platone. Mille veli ci offuscano la vista, dai quali non sappiamo più liberarci. La nostra memoria raccogliendo varie impronte, traumi, ferite, piaceri, emozioni in un vasto assieme, costruisce quel che definiamo come l’“Io”, che poi viene ulteriormente condizionato da fattori sociali e politici. Questo, inoltre diventa quasi l’unico strumento attraverso il quale navighiamo e leggiamo la realtà. Così, apprendiamo l’appartenenza a una definita lingua, stato, nazione, sesso etc. e ci teniamo a questo costrutto fino alla nostra scomparsa.
Come invece propone Capozzi: “Le nuove scoperte della fisica quantistica ci mostrano come la realtà non sia ciò che forma la coscienza, ma come invece sia la coscienza a formare la realtà. Come viviamo in una sorta di rete entangled (intrecciata) di potenzialità. Il mondo quantico appare classico, non per la natura macroscopica degli apparati di misura, ma perché noi, in quanto osservatori, facciamo parte del mondo che osserviamo. L’osservatore in qualche modo è l’osservato. Per capire questo pensiero complesso una delle proposte sarebbe quella di usare il metodo chiamato de-coerenza”.
La pittura, qui, non a caso risulta ancora il mezzo più efficace per poter rappresentare e rendere comprensibili fenomeni di tale complessità e ricchezza, in quanto questi rimangono fuori dalla portata degli attuali mezzi tecnologici e dalla nostra logica storica lineare.
Qual è dunque il Giardino di cui parla la mostra? Se per Morrison il giardino con i fiori recisi era quello simile a un cimitero, per Capozzi forse significa esattamente l’opposto, poiché resta pregno di una possibile rifioritura. Anche se attualmente reciso seguendo i canoni estetici, sociali e politici dominanti, questo Giardino può rifiorire selvaggiamente, appena lasciato intatto o incondizionato per un certo periodo di tempo.
Non è dunque l’ebbrezza il fenomeno che affascina l’artista, ma l’espandersi della coscienza come una sorta di mezzo per poter trovare delle modalità di una nuova consapevolezza, quale ci può permettere di attraversare quel “rumore visivo” al quale siamo continuamente sottoposti. Così al risveglio, forse, l’opacità del capitalismo contemporaneo, può apparire meno densa, permettendo di vedere chiaramente i meccanismi del suo funzionamento e lasciando la possibilità di allontanarsi da essi e dalla sua ideologia come un unico mondo possibile, trovandone alternative che non appartengono a quella retorica.​​​​​​​
Andris Brinkmanis
 “Untitled PR3” 2021, acrylic on linen, 100x150x4cm
"Gianluca Capozzi intercetta frammenti di storie e le ricombina in un puzzle di schegge visive: così facendo, egli tritura l’attimo e lo converte in un’immagine che esplode e prolifera dall’interno, svelando inediti orizzonti di senso. Alla monotonia dei pixel si sostituisce l’imprevedibilità di pennellate che dissociano l’ordine del discorso e spiazzano le aspettative di significato.” 
Alberto Mugnaini
"Il filtro dell’esperienza personale del fare, del dipingere, non solo risulta essenziale alla sostanza dell’opera finita, ma segna anche la differenza, le dissonanze di atteggiamenti e di approccio che caratterizzano ciascun lavoro, che non è mai elemento organico ad una serie metodicamente programmata, e il cui carattere specifico è dovuto alla costante e discontinua esperienza del fare, del fare pittura." 
Pier Luigi Tazzi
 “Untitled PR10” 2021, acrylic on linen, 100x150x4cm
"With a poetically constructed optic and accentuated sensuality, Gianluca Capozzi’s work shows the traces of the quotidian, some kind of devitalized memories, fragments of remembers. Because that’s also what is his work about: memory, collective and individual, captured through a skilful relationship between color and image with a notable lyricism. A lyricism supported by a very simple structure. Simple but meticulous.If Capozzi stands out for something that’s his versatility. He can go from hyperrealism to be close to the English pop or even to the fauve tradition of joie de vivre up to transform his paintings in almost abstract landscapes going through a compositional architecture akin to the Informalism.A crossbreeding road that however never allowed him to leave figuration behind, so the result is a surface where the abstract gets dissolved in the image and the image in the abstract. Figuration is a good fabric for memory even for an artist of multiple registers.The paintings that move towards the abstract refer to the formalism of the colorfield- a colorfield always altered by some narrative pattern- and suggest dreamlike references approaching a strategy of valuing the poetry of each element. A tapestry of gestural abstraction combined with formal references of signs or gestures." ​​​​​​​
Blanca De La Torre

Untitled PR8 2021 acrilico su lino 100x150x4cm
"We live in a society of images, as the French philosopher Jean Baudrillard pointed out on several occasions. The constant stream of images surrounding us not only claim to record reality, but rather engage in construction the notion of reality. Artist Gianluca Capozzi (b. 1973) taps into this stream of images in his paintings, which each by themselves often appear like snap-shots of quotidian life: the back of a car seen from behind, the ditch of a country road, a scene from a news reel on TV. Capozzi captures the fragmented elements of everyday life and re-arranges them in constellations that simultaneaously break meaning while creating new narratives. Often Capozzi presents his works in grid-like sequences, which bring to mind the strong visual traditions of both film and comics. But grids are in themselves a powerful visual symbol. The renowned art critic Rosalind Krauss identified the grid an “ an emblem of modernity” by being “a form that is ubiquitous in the art of our century.” She was certainly referring to the high modernism of the 20th Century, and yet the grid remains a dominant structure of visual culture today. The paintings of Gianluca Capozzi reiterate this structure also in their motifs and makes a convincing bid for a precise contemplation of everyday life. He captures the momentary and indifferent events which form contemporary life and invests them with permanent attention and decisive importance. It is a way of introducing order to an otherwise chaotic visual culture, elevating details to a level of experience. Though Capozzi’s work, we are forced to see structure in the casual, meaning in the meaningless — we see the world through a grid.” ​​​​​​​
Joakim Borda


Frame: a freeze-frame, a frozen moment, the continuance of an unrepeatable instant, an atom of everywhere in time and space. And to embody, or rather, disembody this everywhere, there is nothing today that lends itself better than the Internet. In his explorations by means of the intricacies of Second Life, Gianluca Capozzi intercepts fragments of stories and recombines them in a puzzle of visual splinters: in this way he shreds the moment and converts it into an image that explodes and proliferates from within, revealing completely new sensual horizons. The monotony of pixels is replaced by the unpredictability of brushstrokes that dissociate the order of the discourse and leave our expectations about meaning in disarray. Frame is, literally, the frame, whose form imprisons the breath of the moment in the frozen image.
Painting appropriates these images, annexes them to another realm, unfreezes them, distorts them, and expands the moment.
Frame Store: what is it more than just a repository of frames, the skeletons of a support, a materiality that underlies and preexists the painting itself? But isn’t it precisely through the act of painting that it’s possible to infiltrate the semantic fault that separates the literalness of the noun frame from its metaphorical meaning? The iteration of an image enclosed within the confines of a frame, the display is at the same time a spatialized deployment of exploded moments. Painting breaks the frame of the ‘moment’. Second Life: fictitious and superimposed life, a parallel hypothesis.
Gianluca Capozzi seems to want to partake of this ‘Second Life’ through the second glance that opens onto the invisible; he filters it through his own life, through the painting experience. Thus the perimeter of the picture becomes the scene of a complex drama in which the content of the pictorial representation collides with the time involved in painting: a sliding freezeframe, the chronicle of a process, a practice, a discipline, a challenge.
The individual paintings are spatialized by series, as if implementing a multiplication of screens, each of which aspires to be not a slice of ‘second life’, but a life ‘by the second’; in fact, life multiplied by itself. According to Capozzi, this is exactly what art is: "the need to shatter, to violate the visual, to the extent of burning and trampling the image; to paint a musicality of images tortured by a frenzied swirl of scattered colours. What matters to me in art is not the final artwork but the artist working in a relationship where the work is only residual fallout, something that detaches itself and falls from the living organism. Art is life in its unrepeatability of the event, it’s ‘one time only’ quality.”
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Alberto Mugnaini


 Untitled PR17 2021 acrylic on linen 100x150x4cm
Dal disegno alla pittura, il suo lavoro – tutte opere marcatamente Untitled – schiude una galassia stilistica che, se da una parte plasma grovigli pulsanti e forti stratificazioni magmatiche con venature pseudocaricaturali, dall'altra promuove una linea riflessiva sulla figura scomposta, questa, e ricalibrata secondo un andamento transespressionistico altamente croccante e pungente, legato a prefissi estetici naif che inclinano l'ago della narrazione verso un'area visiva euritmica per tracciare, via via, precise corrispondenze con la visibilità del suono e della parola. Forme e figure che sprigionano una energia compositiva dipanata, poco a poco, al di là dello spazio pittorico, corpi inghiottiti in scenari avvolgenti e suadenti, nature morte appena tracciate che ribaltano ogni naturalezza, graffi e ticchettii a prima vista isterici filtrati, tuttavia, da una rigida soluzione intuitiva che genera un vero e proprio trattato delle passioni. Tutto il corpus stilistico messo in campo da Capozzi è intriso di formule paranomasistiche imbevute di doppi sensi e ambivalenze dei significati, di nodi organici e di rapide conclusioni che formano un vero e proprio midcult utilizzato prevalentemente per smembrare le vele dell'unità e setacciare così schemi e formulari linguistici, cifrari ornamentali, concordanze e discordanze della realtà quotidiana. Puntando sul futuro della classicità e aprendo ad un dialogo con l'antico, Gianluca Capozzi manipola la realtà con lo scopo di dar luogo a verifiche grammaticali che volgono lo sguardo verso una Weltanschauung data, questa, da una decompressione di sommovimenti verbali che arginano lo spazio della realtà e creano vivaci collassi della ragione per investire il mondo con una carica esplosiva densamente fantastica, pulsionale, immaginifica.​​​​​​​
Antonello Tolve
"The connection with film is also patent in the way Capozzi captures moments of everyday life and each painting works like a frame, a still image with a very autonomous language. The idea of sequence is present, in the suspension of time, and the discontinuation of the characters and signs that populate his paintings. This filmic perspective always gives an unexpected twist, an off-center image, a diffused corner. Also his works used to offer a more voyeuristic perspective, a voyeurism that he has been leaving aside to open up other outlooks to the spectator, not less seductive on the other side. Despite this melting pot of influences,  all his body of work distills a striking optimism, an enjoyment of the world. His paintings stay like snapshots of pleasure and frozen instants of easiness. Capozzi  manipulates the complexity of reality to give us a personal vision where the forms melt and flow, in a risky exercise of meditation about memory and time, displaying what the artist says “Art is life in its unrepeatability of the event, it’s “one time only” quality.” 

"The more figurative works, on the other hand, point the heritage of the culture of the image, in pictorial codes and remarking his particular vision of the quotidian and his capacity of narration. At the end, his works are all portraits, fragments of life –some more obvious, some more subtle- but eventually, portraits. Blurred portrayals that deepen into uncertainty. In all them the dramatic color emphasizes the semantic recklessness, flickering with the repetition, playing with the viewpoint, and questioning the linear narrative modes. His work speaks of multiplicity, of atomization and de-atomization. Capozzi plays with the canvas, with the contrasts and the apparently absolute control which breaks with whimsical colors and splashes of chaos. But a chaos entirely controlled by a pleiad of polyhedral meanings.His is a work of fragments, of the repetition of the parts, an amalgam of atoms that build atmospheres not easily identifiable. Fragments of the everyday life, fragments of memory.” 
Blanca De La Torre​​​​​​​
V.M. Penso che il tuo lavoro si riconosce nel dibatto attuale sull'anthropocene, nel tentativo di certi pensatori contemporanei di proporci una nuova visione del mondo, universalizzante e totalizzante. 
Leggendo il tuo manifesto mi son ricordato delle idee dello studioso inglese Timothy Morton, che ha pronunciato «L’ecologia senza Natura». 
Secondo lui il concetto della Natura (fondamentale per la cultura Occidentale)  e repressivo, perché stabilisce una netta differenza tra quello che e naturale e quello che non lo e, metre in realtà questa distanza non esiste. 
Il mondo è uno, in esso l'animato e l'inanimato, soggetto e oggetto sono correlati… 
G.C. L' energia che c’è in tutto l’universo è contenuta in un organismo sub atomico.
Materia, energia e vuoto sono presenti nell'oceano delle infinite possibilità che descrive la fisica quantistica, dove non esistono masse, forze e tempo. Quest’oceano si situa nel vuoto fisico ma è colmo di energia, sebbene solo come possibilità.

V.M. Pero l’ontologia animistica non e una invenzione recente. Ha delle radici profonde. Pensiamo a Giordano Bruno, al suo «entusiasmo eroico», delle sue idee in cui il mondo e governato dall'amore! 
Bruno, esperto di magia, ci descrive l’eros, la magia, l’alchimia.
Era convinto che l'intero universo fosse tenuto insieme dall'amore in tutte le sue varianti e dominerebbe il mondo dalla natura fisica ai cieli metafisici, dalla sessualità all'amore dei mistici.
G.C. Bruno estese il termine Eros fino ad abbracciare in definitiva tutte le emozioni umane e lo descrisse in termini generali come la forza. 

V.M. Suppongo che il tuo lavoro abbia anche un'altra fonte d’ispirazione. Intendo che nella tua scommessa sullo sguardo contemplativo si stravede il pensiero orientale, con la sua disposizione d’amalgamarsi nel mondo contemplato.  
G.C. L’uomo attinge continuamente dal vuoto energia/informazione.
Dal punto di vista della cultura orientale la realtà consiste in quello che è contenuto nel vuoto cosmico, universale. Il vuoto costruisce, crea il mondo.
Tutto viene fuori dal nulla e prende un aspetto di verità effettiva. Un qualcosa esiste solo e durante il tempo che fa sentire il suo effetto.
Quando l’energia entra in risonanza con la materia viene trattenuta quale forma. Altrimenti ricade nell’oceano delle infinite possibilità.
La realtà trae origine da uno stato indifferenziato del nulla,
importante quanto il silenzio per la parola.
Questa energia del vuoto, descritta nel buddismo tantrico tibetano come amore, da Giordano Bruno come eros o energia che muove tutte le cose, è paragonabile ad un grande oceano.
Viktor Misiano
(Curatore indipendente e Critico, Chief-Editor presso Moscow Art Magazine, Mosca)
 Untitled PR74 2023 acrylic on linen 100x80x4cm
"Pur richiamandosi alla lezione dell'iperrealismo americano, e ai suoi maestri Richard Estes e Ralph Goings in primo luogo, la pittura di Gianluca Capozzi se ne allontana per un'attenzione più marcata alla consistenza granulosa e molecolare delle pennellate, che rendono la denzità fisica e sostanziale delle immagini.” 
Chiara Canali

"The painter Gianluca Capozzi is similarly interested in movement, and his works often begin with a photo, a snapshot of a time and place. It is this point of departure that allows for Capozzi to assemble, often in a grid-like layout, as he puts it, “a type painting that simultaneously re-echoes sounds and silences, that makes us hear the intervals in continuity and the continuity in the intervals, a type of painting that is always moving on, always exploring, always travelling along the interstices of space.” 
Ken Baldino
"L'opera d'arte è un insieme di segni connessi dal prefisso creativo per dar vita ad una scena.Convulso, picnolessico, legato a perdite di senso e a gustose accelerazioni visive che ingenerano un elettrocardiogramma estetico teso a elaborare forme contratte e dilazionate nello spazio, lo scenario proposto da Gianluca Capozzi fa dell'assenza e dell'apparenza, del sottinteso e dell'omissione filtrata di dati, la radice di un racconto che recide ogni dialogicità per favorire un linguaggio frontale frastagliato,apparentemente autoreferenziale, climaticamente neobarocco. Dal disegno alla pittura, il suo lavoro schiude una galassia stilistica che, se da una parte plasma grovigli pulsanti e forti stratificazioni magmatiche con venature pseudocaricaturali, dall'altra promuove una linea riflessiva sulla figura scomposta, questa, e ricalibrata secondo un andamento transespressionistico altamente croccante e pungente, legato a prefissi estetici naif che inclinano l'ago della narrazione verso un'area visiva euritmica per tracciare, via via, precise corrispondenze con la visibilità del suono e della parola.Forme e figure che sprigionano una energia compositiva dipanata, poco a poco, al di là dello spazio pittorico, corpi inghiottiti in scenari avvolgenti e suadenti, nature morte appena tracciate che ribaltano ogni naturalezza, graffi e ticchettii a prima vista isterici filtrati, tuttavia, da una rigida soluzione intuitiva che genera un vero e proprio trattato delle passioni.”
Antonello Tolve


 Untitled PR41 2020 acrylic on linen 60x80x4cm
Gianluca Capozzi’s paintings, with their emotional nucleus formed from the theme of travel, reveal themselves to be instruments of inquiry and discovery. The corners of the world that form their subject matter are represented in a multiplicity of spurts and breaths, emphasized y a light that cuts the substance of things into facets, and blends them together again in coronas of colour, as if the artist wanted to dye them in the fermented juice of a Luminarist re-vision, revealing a fabric of auras, a tapestry discharging rays of energy.
A photo serves as the starting point, one of the many that document moments from Capozzi’s journeys and the anxieties he perceives: a documentary of a fragment of time and of a geographical atom, which, like a memorandum in mnemonic form, is subjected to a deliberate analytical but also sentimental reworking, and reread to the rhythm of the distorting beat of memory.
Through the swift slowness of the execution, an awareness occurs of the ‘other’ and of ‘elsewhere’ that leads to a sampling of the surfaces of things, to an almost edible, olfactory style of painting that crumbles the crust of reality in order to grind and digest it with a visual appetite. At the same time Capozzi’s painting is a prolongation of the dimension a journey has in terms of a harmony between an instant dispersed in the real world and the moment of creation. A form of painting that tends to identity itself as the empathy that can arise between a gesture and a fragment of something, in the brushing of molecules against one other, caressing the world with the nerve endings of its particles, until it makes the fur of reality vibrate, its sensory cortex, with a percipient, cognitive quiver that reveals its hidden warp.
A single, split second piece of reality is in this way unravelled, atomized, traced by vibrations of another time, while the journey continues on to infinity, as in an inexorable blossoming of sensitivity, in a fermentation in which unilateralism meets the fugitive monadic nature of actual time and the multivalency of a time slowed down, Proustian, irregularly seamed like the texture of a madeleine.
Painting, in fact, entails a disintegration and reintegration of atoms in a percipient plasticity that offers the senses a repetition of the moment, a sort of “amorous pleasure” in which sight, memory and emotion commingle and fuse into a texture of vibrations and pulsations, a variegation of strokes and flashes, that attain a crisp corporeality of the same light that splinters, diffracts and spiritualizes it. One could speak of the onomatopoeic quality of this form of painting that simultaneously reechoes sounds and silences, that makes us hear the intervals in continuity and the continuity in the intervals, a type of painting that is always moving on, always exploring, always travelling along the interstices of space and time.
Alberto Mugnaini
B.C. In your recent work, from 2021, interiors and a gravity-defying layering of different forms has become pronounced. Can you discuss how you arrived at this evolution in your painting, what it means to you?
 In my recent work, I have focused on abstracted, nebulized and super-imposed forms in which it is possible to discern figurative elements. These inhabit a place, a hall, a room; always similar contexts. My interest is in combining representation and abstraction, linear drawing and coloring, and minimalism and the gestural. The gestural is concerned with materiality and contrasts with the shorthand aesthetics of my cartoon-like figuration. I always begin with an appropriated image that I believe expands consciousness in some way and want to foreground the particularities of the pictorial medium, its distinctive characteristics.
I arrived at this evolution of my painting from curiosity about the great ancient Eastern and South American civilizations, from their vision of a broader consciousness that we can experience in a meditative state or through plants and mushrooms. Although I have not experimented with the latter directly with painting, I have a way of imagining them. There is also my interest into looking into new territories, with tools that help us navigate and explore our existence: painting, video and digital imagery can be tools for capturing a part of a reality as large as possible. Psychedelia tends to an "other" world, investigating other dimensions to which my painting wants to aim to engage. The paintings ideally evoke a new world with traces of time where present and past are a single instant. People, things and events paint a nonsense pervaded with meaning, a slow but precocious vision of what is successively now.

B.C. Where are the images of the interiors and other elements from?
 I always start from similar photographs. I start from here to explore the infinite worlds of my imagination, in relation to expanded states of consciousness, to everything that goes beyond. A constellation of signs and people, between abstraction and figuration, are the main elements that make up my work. All this starts from a study on time, on the importance of the instant that encloses and walks in the past and in the future. For this reason I paint the characters as evanescent, as if they were present in somewhere else. I prepare the colors, almost always acrylic, which I arrange on a wooden plate, draw a first draft with a pencil and then gradually switch from darker to lighter colors. Or vice versa   depending, sometimes I start from the median color and go towards the light and dark ones. I study the contrasts, harmonies, shapes and signs and their magical interaction between them, multiplied by our perception; the references and the concepts that contain the forms. 
B.C. Each painting encourages me to reflect on why that gesture opens that particular door.
The images I use, both of the people and of the leaving rooms, come from my photo archives and from the ‘net. I love the randomness and the order inherent in it. After months of work I apply some changes so that everything is adherent to the state of consciousness that I want to represent and there is precisely an elongated temporal space.
Please discuss your experience of art school. How would you describe your training and what ideas of art were distilled?

 When I was at school, the world was a universe to be discovered both tangibly and intangibly. I was fascinated by the ideas of the great philosophers and sought my own in music and art. My initial training was at the Avellino's Art Institute, in Italy and was really very intense and free, characterized by many revolutions in my style and my approach to art. Then at the Accademia di Belle Arti in Florence, I confronted myself with the great masters of the past, from the Renaissance, which was reflected in the psychedelic aesthetics and surrealism that I followed. The professors communicated to me the idea of ​​work and research, a new world, which excited me in looking at the various media that I had available. I lived with a ferment for the contemporary and all that is new but with firm roots in the past.
B.C. What are the specifics of the influence of the past or how do you negotiate the power of the old masters?
 My relationship with the past was very intense during the years of study in Florence. I believe that the art of the past is not yet and will never be "past" because it continues to exist, and with it I measure myself and also it allows me to always make present what may seem extinct. The power of the masters of the past is in their gestures and traces of a profound tendency of the soul towards evolution. I look at their strength, their impetus and delicacy, their way of translating thoughts and creating a subjective but universal reality. Looking at the path of the streets crossed by the great masters shows me the possible paths still to be taken and how much the power of art is beyond time.
B.C. How do you think about being a painter today? What is the relevance and importance of the medium and method?
 Conveying our journey into a space. Painting means being in contact with matter while caressing the divine. Being a painter is also a commitment to denounce the things that   happen in our time-frame. Each medium is different and provides very different results. That’s why it’s good to experiment, compose a work together. Sometimes unexpected visions and precise directions occur. It is very important to distinguish the method and the media that best suits to realize the vision we want to inhabit to do with gesture and stillness.
B.C. What are you working on now, and how do you see your practice as evolving?
 My practice evolves with my thinking. That is, the gesture and the vision. May roads leading to only one. And a union between my peculiar signs and differences. The first aim I like to communicate is the sense of being oneself beyond stereotypes. I transcend the  representation itself but I use all the elements available to allude to an enlarged reality. In terms of our deepest self, states of consciousness expand with plants, mushrooms, meditation; these generate visions, awareness, and evolution an almost theatrical staging that wants to get as close as possible, and make visible, the here and now, or the invisible. The relationship between light and colour in painting embraces speed and instinct which  completes the work and the very concept of creation. The painting itself is a trace of this gesture. A painting of reality, not representation.
Brian Curtin
Irish-born art critic based in Bangkok. www.brianacurtin.com
 Untitled PR24 2021 acrylic on linen 80x120x4cm
"La lettura dell'opera viene sdoppiata quindi su due livelli, di opera individuale e di insieme Complessivo. Il discorso pittorico appare tuttavia svincolato da una trama narrativa a favore di suggestioni di tipo cromatico ed emozionali.” 
Simone Ciglia
"I dipinti di Gianluca Capozzi, il cui nucleo emotivo è costituito dal tema del viaggio, si rivelano essi stessi come strumenti di indagine e scoperta. Come soggetto hanno angoli di mondo che si manifestano in una moltiplicazione di sprazzi e respiri, evidenziati da una luce che sfaccetta la sostanza delle cose e le reimpasta in aureole cromatiche, come se l’artista volesse pigmentarle nel succo fermentato di una revisione luministica, svelando un tessuto di aure, un arazzo di emanazioni energetiche.Lo spunto di partenza è fornito da una foto, una delle tante che documentano i momenti dei suoi viaggi e le ansie del suo sguardo: reportage di un frammento temporale e di un atomo geografico, come un appunto mnemonico essa è sottoposta a una rielaborazione analiticamente consapevole ma anche sentimentale, e riletta al ritmo della percussione scompositiva del ricordo."
Alberto Mugnaini

"A dense field, choking and littered with a spangle of blotches and marks, whirling restlessly around, as if sucked into a vortex, seduces the viewers into celebration of slivers of multifarious colors— reds, oranges, mustard, yellows, turquoise, aquamarines, lavender, deep purples— all animated by intersecting and gyrating lines. They may initially look like slung pigments, with no preconceived or prior design but the final assembly of elements amounts to an exhilarating and sumptuous visual experience.” 
Cid Reyes​​​​​​​​​​​​​​
Psychedelic breakfast with friends 2019 acrilico su lino 80x120x4cm (private collection)
Gianluca Capozzi, in un intervista di alcuni mesi fa, dichiarava: "Cerco di rendere reale ciò che prima era solo una possibilità, distanziandomi e avvicinandomi dalla rappresentazione, portandola ai suoi limiti, attraverso un lavoro all’interno della pittura intesa come spazio, con una conoscenza ed esperienza autonoma, senza aderire a codici prestabiliti. Mi interessa ciò che potrebbe dare un significato diverso. Ho l’esigenza di ridefinire la pittura. Utilizzo anche immagini tratte dai mass media, privandole di qualsiasi riferimento a ciò che rappresentano, fino al punto di annientare l’identificazione di qualsiasi logica. L’immagine, quindi, rimane aperta sia all’astrazione che a una diversa narrazione. Sto lavorando su ciò che si trova e non è chiaramente definito: ciò che è presente invoca ciò che è assente, muovendosi nell’ambito della semiotica più che nella realtà, permettendo così alla pittura di essere parte del mondo, piuttosto che lasciare entrare il mondo al suo interno".
Enzo De Leonibus
Untitled PM32 2023 acrilico lino 150x100x4cm (private collection)
Installation view, 2022, variable dimension, painting, glass, steel wires, wood, newspapers, vases with flowers, objects
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